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Intervista a Lorenzo Perrini, vice segretario della Rosa nel Pugno della provincia di Brindisi

di Serena Ambriola

BIOGRAFIA:

Lorenzo Perrini, vice segretario provinciale della Rosa nel Pugno e segretario sezionale a Cisternino (Brindisi). Si affaccia alla politica all’età di 16 anni, entrando a far parte della Federazione giovanile socialista; successivamente diventa dirigente locale del PSI fino al 1993, quando si candida come consigliere in una delle liste di centro-sinistra, precisamente nel PDS. Nel 2001 diventa coordinatore e segretario dello  SDI. Nelle elezioni provinciali del 2004, lo SDI ottiene il 17,3% dei consensi e lui viene eletto unico consigliere provinciale del partito. Nel 2004 si candida alle elezioni regionali, dove il SDI ottiene il 21% dei voti e diventa il primo partito, in termini percentuali, a livello locale. Nelle elezioni politiche del 2006, con la Rosa nel Pugno, i consensi scendono all’8,50%, ma si conferma ancora prima sezione SDI nella provincia di Brindisi.

Che cos’è per lei la politica?

Per me la politica è interesse per la collettività, per la propria comunità e interesse per tutto ciò che riguarda il mondo in cui viviamo.

Esiste un  motivo scatenante che l’ha avvicinata alla politica?

Si, ed è stato l’insegnamento di mio padre, che sin dal 1946 è stato iscritto al partito socialista italiano; per tanto la mia famiglia ha avuto sempre come elemento di discussione e di colloquio la politica; e il suo impegno è stato così forte che inevitabilmente ha coinvolto anche me.

Cosa pensa dei vertici del suo partito?

Purtroppo, subito dopo Tangentopoli, il nostro partito si è sgretolato e si è trovato senza i suoi vertici, ma con una base ancora convinta degli ideali portati avanti e delle tante battaglie fatte negli anni. Agli attuali vertici dello SDI bisogna riconoscere, invece, l’impegno di lasciare, come ha detto Boselli, una casa, seppur piccola, dei socialisti, che non possono che stare a sinistra. Occorre perciò dare la possibilità a tutti coloro che si riconoscono in un’idea socialista, di promuovere una riunificazione di tutti i socialisti italiani. Molto dipenderà da ciò che avverrà a livello nazionale, e quindi dalla nascita del partito democratico, cui tanto aspira Romano Prodi.

Cosa andrebbe modificato?

Non credo si tratti di modificare il partito in sè e per sè, ma naturalmente di dargli un’identità più marcata; nell’ultima campagna elettorale penso si sia sbagliato ad eccedere nei toni di laicismo più che di laicità e in quelli relativi ai diritti civili. I socialisti non possono non essere, per storia, che un partito riformatorio, liberale e attento soprattutto ai temi sociali; un partito che ha fatto conquistare ai lavoratori determinati diritti e che non può ora vedersi scavalcare da altri partiti alla propria sinistra. Nello stesso tempo deve pensare alla modernità riuscendo soprattutto a garantire un progetto di sviluppo per il nostro paese che trovi  sempre più possibilità di incontro con gli attuali democratici di sinistra, per costruire, in futuro, un unico grande partito.

Cosa pensa dei risultati delle elezioni politiche 2006?

I risultati di queste elezioni sono e continuano ad essere un fatto mortificante per il centro-sinistra, il quale si attendeva risultati più entusiasmanti. Penso abbia inciso un difetto di comunicazione nei confronti dell’elettorato, dovuto non alla cattiva applicazione della par condicio o al potere stramediatico di Silvio Berlusconi, bensì all’incapacità della sinistra di dare messaggi precisi e chiari alla popolazione e alle frammentazioni presenti al suo interno, che la portano a non avere idee unitarie. In più il nostro leader è si pacato e moderato, ma poco determinato sulle scelte di campo necessarie affinché il paese esca da questa crisi profonda che rischia, con questa debole vittoria, di acuirsi ancora di più.

Come ha valutato i due faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi? Hanno convinto gli indecisi?

No, non credo siano riusciti a convincerli. Prodi ha fatto solo capire che fosse arrivato, per il nostro paese, il momento di cambiare faccia e di mandare a casa il governo di destra; pertanto non è stato in grado di lanciare un messaggio chiaro, che dicesse agli italiani che l’Italia ha bisogno di meno Stato, di meno burocrazia e che occorre invece più efficienza, più organismi funzionanti, che permettano, in futuro, meno invasione della politica nella gestione della vita quotidiana. Berlusconi in questo è stato più bravo e con la proposta dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa e della revisione su quella dei rifiuti solidi urbani, ha dato ai cittadini, seppur furbescamente, la visione di uno stato che non intende incidere sulle già magre tasche degli italiani.

Perché secondo lei la Rosa nel Pugno ha avuto così pochi voti?

Credo che i fattori siano essenzialmente tre: il primo è che la Rosa nel Pugno è entrata poco nella comunicazione pubblica, in quanto ha avuto poco spazio sui media, in particolare su quelli televisivi, incentrati più sullo scontro tra Ulivo e Forza Italia; il secondo è che essa, pur rappresentando una novità nel quadro politico italiano, non è stata capace di unire alle rappresentanze nazionali, sia pure di alto spessore intellettuale e politico, una lista in cui vi fosse anche una forte rappresentanza del territorio; e terzo è che l’alleanza tra socialisti e radicali non è stata ben vista. Infatti, per esempio, noi socialisti dello SDI di Cisternino (BR) avevamo raggiunto, nelle scorse elezioni regionali,  il 20% dei consensi, che non siamo stati capaci di tradurre in un consenso alla Rosa nel Pugno, perché è stato difficile spiegare alla nostra comunità, la ragione per la quale fossimo alleati, non tanto di Emma Bonino, quanto di radicali come Marco Pannella, che poco nella nostra realtà sono visti idealmente vicini alle ragioni dei socialisti.

 

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