Il 27 ottobre 2004 si è tenuto, alla LUMSA di Roma, un convegno per presentare l'ultima opera di Stefano Rolando, La comunicazione di pubblica utilità . L'incontro, in realtà, ha offerto l'occasione per ripercorrere, in maniera essenziale ma esauriente, la storia recente di questa nuova disciplina, la comunicazione pubblica, che tanta importanza ha assunto presso le istituzioni statali, parastatali e i cittadini. L'argomento principe è stato, inizialmente, quello del percorso normativo che ha portato, nel giro di un ventennio, alla formalizzazione dell'istituto della trasparenza, sancito fin dalla legge n. 241 del 1990. Gregorio Arena, docente di diritto amministrativo all'Università di Trento, nel suo intervento, ha ribadito come la trasparenza non sia qualcosa di giuridicamente disciplinabile, ma sia, invece, solo “un modo di porsi dell'amministrazione pubblica”. Dunque, gli ultimi quindici anni sono questo: una svolta nell'atteggiamento della burocrazia verso i cittadini, coadiuvata da un insieme di norme e regole che culminano nella legge n. 150 del 2000. Con questa normativa, che costituisce una legge quadro in materia di comunicazione istituzionale, viene completata la configurazione degli Uffici per le Relazioni con il Pubblico (URP), che, secondo Arena, costituiscono il motore della trasformazione, poiché, in un momento di discrimine quale è quello attuale, in cui “si tende a far diventare la comunicazione una faccenda burocratica come un'altra”, essi sono il luogo deputato ad “essere sulla frontiera: capaci di cogliere ciò che accade ed a portarlo all'interno dell'amministrazione”. Quest'ultima si dimostra poco propensa ad ascoltare gli utenti, malgrado essi siano portatori di idee, opinioni, conoscenze fondamentali alla conduzione della cosa pubblica. In tal senso viene pronunciata una parola, che fin dal trattato di Maastricht ha preso posto nel linguaggio italiano a vari livelli, ed è la sussidiarietà, intesa, qui, come la condivisione dell'amministrazione pubblica da parte di cittadini – che diventano, in tal modo, protagonisti – e amministratori, che così rispondono meglio al compito di curare l'interesse generale, vale a dire i beni comuni.
Rolando, docente di Teorie e Tecniche della Comunicazione Pubblica all'Università Iulm di Milano e direttore fra l'altro della Rivista italiana di comunicazione pubblica , interviene per ultimo, insistendo da subito sulla necessità di rendere chiara, una volta per tutte, la differenza che corre tra cittadino, come destinatario della comunicazione pubblica (proveniente da quello Stato e da quelle istituzioni), e cliente, come destinatario della comunicazione d'impresa (laddove un individuo, non soddisfatto di un prodotto, può prenderne un altro). Sul tema, egli dichiara che bisogna sganciare l'idea di comunicazione pubblica come attività propria solo delle Stato e delle istituzioni che ne fanno parte, poiché, in realtà, i soggetti che praticano questa “cultura della rappresentazione” sono molti di più. “Il punto in cui c'è sovranità statale è piccolo rispetto a tutto lo spazio occupato dai contributi della collettività. E cos'è questo spazio se non pubblica utilità?”. Quella di Rolando si configura come una svolta nel concetto di pubblica utilità e nella definizione dei soggetti destinati alla sua tutela e realizzazione: il risultato è la fine dell'idea napoleonica di Stato e l'emergere dell'importanza dello scambio in “un'arena nella quale sono tanti a dover dire la loro”. |